La Festa di Sant’Agata tra folklore e tradizione

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a cura di Giuseppe Gagliano

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N.d.r. Con particolare piacere ospitiamo l’articolo del prof.  Giuseppe Gagliano dedicando la copertina alla maestosa Cattedrale di Catania dove sono stato battezzato nella cappella Gravina a latere dell’altare maggiore.

Antonio Ignazio Bonelli dei Gravina

3 febbraio 2020, Catania si è svegliata con una grande voglia di iniziare a festeggiare ed onorare la sua grande Patrona: SANT’AGATA.

I Catanesi offrono alla loro patrona una festa straordinaria che può essere paragonata alla Settimana santa di Siviglia o al Corpus Domini di Cuzco, in Perù. La festa si svolge in tre giorni, e la città dimentica ogni cosa per concentrarsi sulla festa, misto di devozione e di folklore, che attira ogni anno sino a un milione di persone, tra devoti e curiosi. Il primo giorno è riservato all’offerta delle candele. Una suggestiva usanza popolare vuole che i ceri donati siano alti o pesanti quanto la persona che chiede la protezione. Alla processione per la raccolta della cera, un breve giro dalla fornace alla cattedrale, partecipano le maggiori autorità religiose, civili e militari. Due carrozze settecentesche, che un tempo appartenevano al senato che governava la città, e undici candelore, grossi ceri rappresentativi delle corporazioni o dei mestieri, vengono portate in corteo. Questa prima giornata di festa si conclude in serata con un grandioso spettacolo di giochi pirotecnici in piazza Duomo. I fuochi artificiali durante la festa di Sant’Agata, oltre a esprimere la grande gioia dei fedeli, assumono un significato particolare, perché ricordano che la patrona, martirizzata sulla brace, vigila sempre sul fuoco dell’Etna e di tutti gli incendi.

Il 4 febbraio è il giorno più emozionante, perché segna il primo incontro della città con la santa Patrona. Già dalle prime ore dell’alba le strade della città si popolano di cittadini, i devoti che indossano il tradizionale sacco (un camice votivo di tela bianca lungo fino alla caviglia e stretto in vita da un cordoncino), un berretto di velluto nero, guanti bianchi e sventolano un fazzoletto anch’esso bianco stirato a fitte pieghe. Rappresenta l’abbigliamento notturno che i catanesi indossavano quando, nel lontano 1126, corsero incontro alle reliquie che Gisliberto e Goselmo riportarono da Costantinopoli. Ma l’originario camice da notte, nei secoli, si è arricchito anche del significato di veste penitenziale: secondo alcuni l’abito di tela bianca è la rivisitazione di una veste liturgica, il berretto nero ricorderebbe la cenere di cui si cospargevano il capo i penitenti e il cordoncino in vita rappresenterebbe il cilicio. Tre differenti chiavi, ognuna custodita da una persona diversa, sono necessarie per aprire il cancello di ferro che protegge le reliquie in cattedrale: una la custodisce il tesoriere, la seconda il cerimoniere, la terza il priore del capitolo della cattedrale. Quando la terza chiave toglie l’ultima mandata al cancello della cameretta in cui è custodito il Busto e il sacello viene aperto, il viso sorridente e sereno di sant’Agata si affaccia dalla cameretta nel crescente tripudio dei fedeli impazienti di rivederla.Luccicante di oro e di gemme preziose, il busto di sant’Agata viene issato sul fercolo d’argento rinascimentale, foderato di velluto rosso, il colore del sangue del martirio, ma anche il colore dei re. Prima di lasciare la cattedrale per la tradizionale processione lungo le vie della città, Catania dà il benvenuto alla sua patrona con la solenne Messa dell’Aurora, celebrata da S.E. Mons. Arcivescovo. Tra i fragori degli spari a festa, il fercolo viene caricato del prezioso scrigno con le reliquie e portato in processione per la città.

Il giro, la processione del giorno 4, dura l’intera giornata. Il fercolo attraversa i luoghi del martirio e ripercorre le vicende della storia della santuzza, che si intrecciano con quella della città: il duomo, i luoghi del martirio, percorsi in fretta, senza soste, quasi a evitare alla santa il rinnovarsi del triste ricordo. Una sosta viene fatta anche alla marina da cui i catanesi, addolorati e inermi, videro partire le reliquie della santa per Costantinopoli. Poi una sosta alla colonna della peste, che ricorda il miracolo compiuto da sant’Agata nel 1743, quando la città fu risparmiata dall’epidemia. I cittadini guidano il fercolo tra la folla che si accalca lungo le strade e nelle piazze. In quattromila o cinquemila trainano la pesante macchina. Tutti rigorosamente indossano il sacco votivo e a piccoli passi, tra la folla, trascinano il fercolo che, vuoto, pesa 17 quintali, ma, appesantito di Scrigno, Busto e carico di cera, può pesare fino a 30 quintali. A ritmo cadenzato e agitando bianchi fazzoletti, gridano: cittadini, cittadini, semu tutti devoti tutti, cittadini, viva sant’Agata, un’ osanna che significa anche: “Sant’Agata è viva ” in mezzo alla folla. Il giro si conclude a notte fonda quando il fercolo ritorna in cattedrale.

Un’ altra caratteristica della festa e’ data dalla sfilata delle Candelore, enormi ceri rivestiti con decorazioni artigianali, puttini in legno dorato, santi e scene del martirio, fiori e bandiere. Le candelore precedono il fercolo in processione, perché un tempo, quando mancava l’illuminazione elettrica, avevano la funzione di illuminare il passo ai partecipanti alla processione. Sono portate a spalla da un numero di portatori che, a seconda del peso del cero, può variare da 4 a 12 uomini per ogni Candelora.

Per la festa di Sant’Agata sono importanti i dolci, che vengono preparati anche da bancarelle che si trovano lungo il percorso della processione. Oltre alla famosa  “calia e simenza “ ( trattasi di ceci caliati in una piccola caldara di rame che contiene sabbia riscaldata ed infuocata assieme a dei semi di zucca ), presente in ogni festa a Catania, vengono realizzati per la ricorrenza alcuni dolciumi che hanno un riferimento a sant’Agata, come i “Cassateddi di Sant’Aita e le Olivette”. Si tratta di dolci caratteristici simbolici e attinenti alla vergine catanese. Le cassateddi, o Minni di Sant’Aita, (vengono preparate con ricotta e zucchero in pasta), fanno riferimento alle mammelle che furono strappate alla santa durante i martirii a cui venne sottoposta, per obbligarla ad abiurare la sua fede. Le olivette ( fatte con un impasto di pasta di mandorla di colore verde), invece, si riferiscono alla leggenda che ella, inseguita dagli uomini di Quinziano e giunta ormai nei pressi del palazzo pretorio, si fosse fermata a riposare un istante. Nello stesso momento in cui si fermò, si dice per allacciarsi un calzare, un ulivo comparve dal nulla e la giovinetta potè ripararsi e anche cibarsi dei suoi frutti. Ancora oggi, per rinnovare il ricordo di quell’evento prodigioso, è consuetudine coltivare un albero di ulivo in un’aiuola vicino ai luoghi del martirio, e consumare durante i giorni di festa questi dolci tipici realizzati con la pasta reale.

La giovane Agata visse nel III secolo. Esponente di una famiglia patrizia catanese, sin da giovane consacrò la sua vita alla religione cristiana. Venne notata dal governatore romano Quinziano che decise di volerla per sé. Agata fuggì a Palermo nella sua villa al quartiere Guilla, ma Quinziano la scovò e la fece tornare forzatamente a Catania, dove tentò di blandirla e sedurla in ogni modo. Al rifiuto deciso di Agata, la perseguitò in quanto cristiana e, perdurando il rifiuto della giovane, la fece martirizzare e mettere a morte il pomeriggio del 5 febbraio 251. Subito dopo la morte cominciò a essere venerata da gran parte della popolazione anche di religione pagana. Da qui si sviluppò il culto di Agata che si diffuse anche fuori dallaSicilia e ben presto papa Cornelio la elevò alla gloria degli altari.

Le origini della venerazione di sant’Agata si fanno risalire all’anno seguente il martirio, ovvero al 252.

 

Gabriele Rossi

Gabriele Rossi

Ciao

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