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La riapertura al pubblico del Museo Archeologico Nazionale di Civitavecchia, istituto culturale del
Ministero afferente alla Direzione Regionale Musei del Lazio, è st
generale degli allestimenti e dei depositi museali. E questo lavoro ha riservato una sorpresa agli
archeologi e al personale impegnato nell’aggiornamento dell‘esposizione, coordinato dalla direttrice
Lara Anniboletti e dall’archeologo
magazzini ha permesso di riscoprire
in pietra, tre importanti frammenti in marmo greco, quasi dimenticati, appartenenti a una
delle statue più belle e pregiate presenti in museo.
Al piano terra si conserva un‘importante selezione di sculture di epoca romana provenienti dall’area
del porto traianeo di Centumcelle
nord di Roma. Vere e proprie dimore d’ozio, caratterizzate da un impianto scenografico di sale
affacciate sull’azzurro del mare, a volte con annesse peschiere, appartenevano a personalità del
mondo politico e culturale dell’Urbe.
vissuto nel III secolo d.C., uno dei fondatori della dottrina giuridica romana, i cui resti sono
stati individuati nell’Ottocento a Santa Marinella,
Castello Odescalchi che domina il porti
un fine scrittore e amante della letteratura, era anche un cultore della grande arte greca di età
classica ed ellenistica, quella con la A maiuscola, se dalla sua villa provengono diverse replic
marmo greco di famose sculture antiche che dovevano impreziosire gli spazi a lui più cari, oggi
esposte in vari musei europei. Come Dionisio e Pan di tipo prassitelico, un Meleagro attribuito a
Skopas e, soprattutto, l‘Athena Parthenos di Fidia a gra
degli anni 1950, oggi esposta al Museo di Civitavecchia.
La testa che integra lo spettacolare corpo contraddistinto dalla plasticità del chiaroscuro delle
pieghe della tunica, è tuttavia una copia di quella originale,
trasferita al Louvre di Parigi. Dell’Athena del Partenone rimangono rare copie in scala ridotta, e
Comunicato stampa
Il Colosso di Rodi «rivive» a Civitavecchia
L’immagine di una delle sette meraviglie dell’antichità
riaffiora dai depositi del Museo Archeologico Nazionale di Civitavecchia.
La riapertura al pubblico del Museo Archeologico Nazionale di Civitavecchia, istituto culturale del
Ministero afferente alla Direzione Regionale Musei del Lazio, è stata l’occasione per una revisione
generale degli allestimenti e dei depositi museali. E questo lavoro ha riservato una sorpresa agli
archeologi e al personale impegnato nell’aggiornamento dell‘esposizione, coordinato dalla direttrice
l’archeologo Alessandro Mandolesi. In particolare, la ricognizione nei
magazzini ha permesso di riscoprire all’interno di una cassetta confusa fra numerosi materiali
in pietra, tre importanti frammenti in marmo greco, quasi dimenticati, appartenenti a una
delle statue più belle e pregiate presenti in museo.
Al piano terra si conserva un‘importante selezione di sculture di epoca romana provenienti dall’area
Centumcelle e dalle lussuose ville marittime che punteggiavano il litorale a
d di Roma. Vere e proprie dimore d’ozio, caratterizzate da un impianto scenografico di sale
affacciate sull’azzurro del mare, a volte con annesse peschiere, appartenevano a personalità del
mondo politico e culturale dell’Urbe. Tra queste spicca la villa attribuita al giurista Ulpiano,
vissuto nel III secolo d.C., uno dei fondatori della dottrina giuridica romana, i cui resti sono
stati individuati nell’Ottocento a Santa Marinella,
in corrispondenza del promontorio del
Castello Odescalchi che domina il porticciolo della cittadina. Evidentemente Ulpiano, oltre a essere
un fine scrittore e amante della letteratura, era anche un cultore della grande arte greca di età
classica ed ellenistica, quella con la A maiuscola, se dalla sua villa provengono diverse replic
marmo greco di famose sculture antiche che dovevano impreziosire gli spazi a lui più cari, oggi
esposte in vari musei europei. Come Dionisio e Pan di tipo prassitelico, un Meleagro attribuito a
l‘Athena Parthenos di Fidia a grandezza naturale, rinvenuta alla fine
degli anni 1950, oggi esposta al Museo di Civitavecchia.
La testa che integra lo spettacolare corpo contraddistinto dalla plasticità del chiaroscuro delle
pieghe della tunica, è tuttavia una copia di quella originale, ritrovata alla fine dell’ottocento e
trasferita al Louvre di Parigi. Dell’Athena del Partenone rimangono rare copie in scala ridotta, e
riaffiora dai depositi del Museo Archeologico Nazionale di Civitavecchia.
La riapertura al pubblico del Museo Archeologico Nazionale di Civitavecchia, istituto culturale del
ata l’occasione per una revisione
generale degli allestimenti e dei depositi museali. E questo lavoro ha riservato una sorpresa agli
archeologi e al personale impegnato nell’aggiornamento dell‘esposizione, coordinato dalla direttrice
. In particolare, la ricognizione nei
all’interno di una cassetta confusa fra numerosi materiali
in pietra, tre importanti frammenti in marmo greco, quasi dimenticati, appartenenti a una
Al piano terra si conserva un‘importante selezione di sculture di epoca romana provenienti dall’area
e dalle lussuose ville marittime che punteggiavano il litorale a
d di Roma. Vere e proprie dimore d’ozio, caratterizzate da un impianto scenografico di sale
affacciate sull’azzurro del mare, a volte con annesse peschiere, appartenevano a personalità del
tribuita al giurista Ulpiano,
vissuto nel III secolo d.C., uno dei fondatori della dottrina giuridica romana, i cui resti sono
in corrispondenza del promontorio del
cciolo della cittadina. Evidentemente Ulpiano, oltre a essere
un fine scrittore e amante della letteratura, era anche un cultore della grande arte greca di età
classica ed ellenistica, quella con la A maiuscola, se dalla sua villa provengono diverse repliche in
marmo greco di famose sculture antiche che dovevano impreziosire gli spazi a lui più cari, oggi
esposte in vari musei europei. Come Dionisio e Pan di tipo prassitelico, un Meleagro attribuito a
ndezza naturale, rinvenuta alla fine
La testa che integra lo spettacolare corpo contraddistinto dalla plasticità del chiaroscuro delle
ritrovata alla fine dell’ottocento e
trasferita al Louvre di Parigi. Dell’Athena del Partenone rimangono rare copie in scala ridotta, e quella di Civitavecchia spicca per qualità di esecuzione e stato di conservazione.
Protagonista della nostra “riscoperta“ è un dinamico Apollo alto circa 2 metri che, accanto
all’Athena fidiaca, catalizza lo sguardo dei visitatori del museo. La statua, nella testa dai delicati
tratti giovanili, nel movimento spiraliforme del busto e nell’esasperazione del rapporto chiastico
degli arti, tradisce una chiara influenza dallo stile di Lisippo, l’artista prediletto da Alessandro
Magno, uno dei maggiori scultori dell’antichità. L’opera, databile al I-II secolo d.C. come il più
celebre e restaurato Apollo Belvedere dei Musei Vaticani – considerato replica di un bronzo dello
scultore Leochares, a cui era stato a torto accostato anche l’Apollo di Civitavecchia –, è stata trovata
nel 1957 all’interno di Villa Simonetti, sempre nell’ambito della grande villa marittima di Ulpiano.
La statua si rinvenne mutila, con accanto i frammenti della gamba sinistra, della mano destra
e della fiaccola impugnata, i quali, non reintegrati nel successivo restauro, finirono nei
depositi del museo.
Su questa mirabile opera si sono concentrati in passato gli studi del prof. Paolo Moreno,
recentemente scomparso, specialista di scultura greca e autore di importanti saggi su Lisippo e sui
Bronzi di Riace. Moreno, analizzando la combinazione fra fonti letterarie antiche e monumenti di
collezioni archeologiche, ha evidenziato la grande qualità e l’importanza iconogafica
dell’Apollo di Civitavecchia, considerato nientedimeno che la replica del Colosso di Rodi. La
grandiosa statua bronzea dedicata al Sole-Helios, massima divinità dell’isola, venne realizzata nel
293 a.C. da Carete di Lindo, fedele allievo di Lisippo, un’opera di inaudita altezza che raggiungeva
quasi i 32 metri. Innalzata per festeggiare la liberazione dall’assedio di Rodi da parte di Demetrio
Poliorcete, nell’ambito delle guerre combattute fra gli eredi di Alessandro Magno, le fonti antiche
ricordano il dio con in mano una fiaccola rivestita d’oro, a simboleggiare Fosforo, ossia il pianeta
Venere visibile all’aurora nel momento in cui precede il Sole. Il colosso nudo di Carete fu abbattuto
dal disastroso terremoto che sconvolse Rodi nel 228 a.C.; i suoi frammenti rimasero a terra per
molto tempo, ricordati da Plinio il Vecchio (Naturalis Historia, XXXIV, 41 sg.) per la grandiosità
tanto che le dita erano più grandi di molte statue intere, e per le immense cavità che si aprivano fra
le membra infrante.
Nella slanciata e armonica torsione del busto verso sinistra, l’Apollo-Helios di Civitavecchia porta,
appoggiata alla schiena, la faretra chiusa con la tracolla e, con la mano sinistra abbassata, regge
l‘arco, desinente a testa di cigno. È presumibile che nell’originale in bronzo l’arma fosse tenuta
lateralmente, in modo da poggiare a terra con un’estremità e creare equilibrio alla parte destra del
corpo, eccessivamente sbilanciata dal piede sollevato in punta e dal braccio destro alzato sopra il
capo, a reggere la fiaccola ardente. L’arco doveva anche essere funzionale a nascondere i tiranti in
ferro ricordati dalle fonti per fissare a terra l’opera colossale.
L’identificazione dell’Apollo di Civitavecchia con il Colosso è rafforzata ulteriormente, secondo Moreno, dalla quasi identità del giovane volto – il moto del capo verso l‘alto, la bocca semiaperta,
le palpebre appena abbassate nello sforzo di guardare in alto e i dettagli della capigliatura con
anastolé frontale – con una testa in terracotta conservata al Museo di Rodi che, presentando i fori
per il fissaggio della corona di raggi, è indiscutibilmente una replica del dio Helios. La testa di
Rodi, unitamente all’impostazione complessiva dell‘Apollo di Civitavecchia con la fiaccola alzata,
ci consegnano probabilmente l’immagine più completa e credibile del celebre Colosso di Rodi,
che riproponiamo con la ricostruzione grafica di Massimo Legni (Architutto Designers).
La riscoperta dei frammenti marmorei nei magazzini del Museo di Civitavecchia, mai reintegrati
poiché la statua è lacunosa di parte della gamba sinistra e del braccio che sosteneva la fiaccola, oggi
esposti in Museo accanto all’opera, permettono di modellare tridimensionalmente l’Apollo-Helios,
e di comprendere appieno la maestosità del gesto e l’imponenza dell’assetto scultoreo, in piena
adesione alla ricostruzione grafica già ipotizzata dallo studioso.
Il Colosso doveva innalzarsi nel santuario dedicato al dio Helios, ai piedi dell’acropoli di Rodi in
corrispondenza della strada che conduceva al porto, anche se la spiccata distanza tra i piedi rimasti
saldi nel basamento della copia di Civitavecchia, alimentò l’idea fantasiosa che fra le sue gambe
sarebbe potuta passare una nave e che il Colosso fosse posto all’ingresso del porto, costituendo con
il fulgore della torcia un riferimento per i naviganti. L‘errato stereotipo del Colosso di Rodi con le
gambe divaricate poggiate all’ingresso del bacino, si consolidò nel tempo e venne ripetuto in
incisioni e dipinti di età moderna, fino a divenire addirittura un moderno souvenir in vendita a Rodi.
La gestualità solenne del Colosso è stata immortalata perfino dalla Statua della Libertà di
New York, donata dalla Francia e inaugurata nel 1886, opera di F.-A. Bartholdi ispirata
proprio al celebre monumento di Rodi, sulla base dell’epigramma che sarebbe stato scolpito alla
base dell’opera e conservato nell’Antologia Palatina (VI, 171). La Statua della Libertà condivide
infatti con l’Apollo-Helios di Civitavecchia, oltre al braccio sollevato con la fiaccola, l‘enfasi del
movimento della gamba destra portata all’indietro, espediente usato per aumentare la superficie di
posa di un monumento enorme.
Filóne di Bisanzio, scrittore greco di argomenti tecnici del III sec. a.C., che aveva visto di persona
la meraviglia di Carete, la ricordava così: «C’è ora al mondo un secondo Sole», che oggi possiamo
rivedere nelle forme originali in un museo italiano.
Massimo Osanna, direttore generale dei Musei Italiani dichiara in merito alla ricostruzione
dell‘Apollo: „Il caso del Museo di Civitavecchia, su cui il Ministero sta investendo per una
riqualificazione in termini di fruizione, dovrebbe costituire un modello virtuoso per i musei
archeologici meno noti che punteggiano il nostro territorio. Carichi di testimonianze significative
per il contesto storico e culturale su cui insistono, sono anche in grado di riservare vere e proprie
scoperte, come nel caso della stupefacente vicenda dell‘Apollo, i cui significativi frammenti erano stati a torto dimenticati nella polvere dei depositi. I depositi dei musei vanno resi fruibili,
considerati come archivi e biblioteche di oggetti, che possono anche favorire la
ricontestualizzazione delle opere d’arte, là dove è possibile e sussistono le condizioni di tutela e
sicurezza“.
Museo Archeologico Nazionale di Civitavecchia
Tel. +39 076623604
E-Mail: drm-laz.mucivitavecchia@beniculturali.it
Lara Anniboletti: +39 3478732330 (Direttore del Museo Civitavecchia)
Alessandro Mandolesi: +39 3356175139 (Consulente Scientifico)
Direzione Regionale Musei del Lazio, direttore Stefano Petrocchi