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Reportage: viaggio intorno all’India moghul
Testo e foto : Tiziana Gulotta tizigulotta@gmail.com
Questo viaggio è stato intrapreso un paio di mesi prima della pandemia e dello tsumani di contagi che ha sconvolto l’India e il mondo intero. Con una popolazione di oltre 1, 3 miliardi, il subcontinente indiano è tra i paesi più colpiti dal coronavirus ma le cifre ufficiali dei contagi giornalieri e dei morti probabilmente sono state sottostimate. Il bollettino diffuso in questi giorni per via Twitter dal ministero della Salute appare più confortante rispetto ai dati del marzo scorso ma di fatto il Paese stenta a ripartire e a subire un importante contraccolpo specialmente nel settore del turismo. L’India è una terra ricca, vasta e multiforme con un patrimonio culturale e artistico che continua a vivere nei secoli. Gli anni cinquanta e sessanta, poi, rappresentano un periodo di grandi speranze perché caratterizzati dalla fiducia e dal progresso in ogni campo. Questo reportage si soffermerà sul periodo moghul in cui l’India raggiunse l’apogeo artistico: nella letteratura, poesia, musica, pittura e architettura. Gli artisti diedero vita a forme d’arte che portarono a sviluppare nuove scuole artistiche in alcune città dell’India. Fortezze e palazzi moghul furono molto più che residenze imperiali: erano il simbolo del potere e della ricchezza creati per intimidire i raja locali. Gli imperatori introdussero splendide residenze con cortili, specchi d’acqua e verdi giardini. Altre caratteristiche architetture moghul sono le moschee, le tombe e i minareti. Per la realizzazione di queste opere monumentali i regnanti usufruirono di collaborazioni di architetti provenienti dal vicino mondo musulmano, come la Persia e non solo, che erano anche influenzati da artisti e costruttori locali. Rispetto alla tradizione islamica, caratterizzata da una essenzialità geometrica, la cultura indigena differiva per la lavorazione della pietra con motivi figurativi. Ai motivi islamici si aggiunsero così quelli di derivazione indù perché gli imperatori moghul per la realizzazione dei loro progetti assumevano manodopera appartenente a religioni e culture diverse.
Nonostante la diffusa credenza che l’India sia stata roccaforte indù, la sua popolazione musulmana è più numerosa rispetto ai due paesi islamici vicini e cioè il Bangladesh ad est ed il Pakistan ad ovest : le stime ufficiali parlano di 172 milioni che rappresentano il 14,7% della popolazione. Le prime presenze musulmane risalgono all’XI secolo, in seguito ad alcune incursioni nel Nord del Paese dove gruppi si stabilirono e posero la capitale a Delhi fondando dinastie. Si può parlare però di una vera e propria egemonia della dinastia moghul a partire dal 1525, quando Babur, discendente di Tamerlano e Gengis Khan, partì dalla Fergana (Uzbekistan) con il suo esercito alla volta dell’India. Per oltre due secoli, la dinastia moghul fornì a questo paese una stirpe di potenti sovrani originari dell’Asia Centrale, che unificarono il subcontinente sotto il loro dominio, tra questi si ricordano Akbar il guerriero e Shah Jahan l’esteta e il prodigo mecenate. Akbar salì al trono a soli tredici anni. Benchè fosse analfabeta, sviluppò un gran gusto ed una autentica passione per le arti. Sotto il suo impero inoltre furono incoraggiati i matrimoni misti tanto che il potente imperatore Akbar sposò una principessa del Rajasthan e durante il suo regno cercò di realizzare il sogno di una nuova religione che avrebbe dovuto unire il pensiero islamico con quello vedico.
Esistono molti esempi moghul sparsi nelle province dell’India, il mio reportage si concentrerà su tre città di questo antico impero : Agra, Sikri e Old Delhi. La prima tappa del mio viaggio a caccia di vestigia moghul è iniziata da Agra con il suo Taj Mahal.
Agra
Una volta entrati nello Stato federale dell’Uttar Pradesh si può raggiungere Agra, sulle rive del fiume Yamuna. La città di origine indù fu capitale dell’impero moghul e rimase tale fino a quando l’imperatore Shah Jahan si traferì a Delhi nel 1648. Anche se la città ha attraversato soltanto un breve periodo di gloria, la bellezza di alcuni edifici fu tale che superò quella di Delhi. Lascio alle mie spalle il tagliente freddo di New Delhi dove le temperature, come annunciato dall’India meteorogical department (IDM), erano scese al minimo e avevano segnato un record mai raggiunto dal 1901 e una volta raggiunta Agra era la foschia a preoccuparmi poiché avrebbe potuto offuscare la vista del Taj Mahal, una delle sette meraviglie del mondo. Il mausoleo fatto costruire dall’imperatore Shah Jahan in memoria della moglie, morta partorendo il loro 14esimo figlio, sopravvive intatto nei secoli e neanche la costruzione del tempio Baha’i a forma di fiore di loto, che è stato definito dall’ingegnere tedesco Leonhardt ‘il taj mahal del ventesimo secolo’, è mai riuscito a rubargli la scena. Come spesso accade con gli edifici così famosi, il Taj ha dato origine a molti miti come per esempio l’affermazione che esso sia opera di un gioielliere veneziano di nome Geronimo Veroneo e il desiderio mai realizzato di Shah Jajan di volere costruire sull’altra sponda del fiume una copia del Taj in marmo nero per se stesso, collegato da un ponte a quello della moglie. Si dice che furono impiegati 20 mila uomini per la costruzione del Taj in un arco di 22 anni. Questo ineguagliabile capolavoro fu iniziato nel 1631, un anno dopo la morte della regina. Un canale d’acqua costeggiato da cipressi conduce al mausoleo. A mano a mano che ci si avvicina al monumento è la perfezione delle decorazioni e dei dettagli a lasciare a bocca aperta, a partire dal portale che presenta motivi floreali e delle iscrizioni in ardesia nera tratte dal Corano. Il cenotafio dell’imperatrice si trova nella stanza centrale non distante da quello del marito. Entrambe le tombe sono in marmo bianco e finemente intarsiate con pietre semi-preziose. In realtà non si tratta di tombe vere e proprie perché quelle vere si trovano nella cripta al piano inferiore. L’usanza di costruire due sarcofagi uno reale e uno come replica sopra di esso, era tipico del tempo per impedire che nessuno potesse camminarvi di sopra.
Agra fort
Ad un paio di chilometri dal Taj mi sono soffermata a visitare un altro monumento del periodo moghul, il Forte di Agra, forse meno famoso del precedente ma molto interessante per i contrasti ben visibili sia all’esterno che all’interno. L’opera è infatti il risultato dello sforzo di tre sovrani: fu progettata e costruita da Akbar, continuata dagli imperatori Jahangir e Shaha Jahan e rispecchia due fasi architettoniche dello stile moghul. L’originaria struttura di Akbar in arenaria fu demolita per lasciare spazio al più sontuoso padiglione in marmo, fatto costruire dal nipote Shah Jahan. Un netto contrasto è visibile anche in alcuni edifici posizionati all’interno del complesso monumentale. Il più importante e finemente rifinito si può considerare il palazzo Jahangiri Mahal, nel quale emerge in modo chiaro, il sincretismo tra elementi islamici e indù. Il Forte di Agra, per molti aspetti, ricorda il Forte rosso di New Delhi, in particolare per le mura in arenaria rossa ed anche per le dimensioni.
Fatehpur Sikri
Ad una trentina di chilometri da Agra, si fa tappa nella Città della vittoria, il complesso monumentale Fatehpur Sikri, dichiarato Patrimonio dell’Umanità. Fondato da Akbar nel 1569 rappresenta dopo il Taj il più grande risultato dell’arte Moghul. Anche intorno a questo luogo e a questa opera monumentale non mancano le storie e le leggende. Quella più divulgata narra che Akbar desiderava un erede ma nessuna delle mogli era riuscita a soddisfare questo suo desiderio. Fu così che l’imperatore consultò un sacerdote musulmano che gli preannunciò la nascita di tre figli. Questo luogo fu così considerato sacro da Akbar che volle edificarvi una città fortificata. All’interno del complesso si trovano interessanti edifici, per esempio, il Dargah dello sceicco Salim Chisti, un edificio quadrangolare in marmo bianco, il diwan-i-aam o sala delle pubbliche udienze e il diwan –i-kaas la sala delle udienze private. Quest’ultimo è considerato l’edificio più creativo del Sikri. Sebbene dall’esterno appaia come un edificio a due piani, invece è costituito da una singola sala con una enorme colonna ottagonale al centro in stile indiano decorata con motivi saraceni.
Ed ancora, il Panch mahal, è un edificio di ispirazione buddista che spicca per la varietà delle 56 colonne che supportano il piano superiore, tutte diverse per forme e ornamenti.
Old Delhi
Il mio itinerario a caccia dei monumenti moghul è terminato con la Old Delhi o vecchia Delhi, l’antica città fortificata di Shahjahanabad fatta costruire dai moghul. Siamo nell’altra faccia di questa metropoli, quella opposta a New Delhi o città nuova, meno affollata e con sontuosi palazzi in stile coloniale inglese. La vecchia Delhi, è la parte più affascinante della città, a mio avviso, ma molti visitatori preferiscono immergersi nella storia moghul optando per un’altra zona meno caotica, dove si trovano la tomba e i giardini dell’imperatore Humayun. Mentre la vista del Red Fort (o Forte rosso) ci ha accompagnato per la città vecchia, abbiamo attraversato in risciò l’arteria principale di Old Delhi, Chandni Chowk, da dove si intravedono stradine e katra (vicoli coperti). E’ in questo caratteristico mercato, caotico e multietnico, si inizia a percepire la presenza ancora viva dell’era moghul, prima di raggiungere la meta desiderata: jama masgid, la moschea del venerdì, la più grande dell’india, uno dei grandi capolavori dell’arte moghul con tre ingressi.
Un’ampia scalinata conduce all’ingresso principale dove occorre lasciare le scarpe e indossare un soprabito, una sorta di abaya a fantasia, in cambio di qualche rupia indiana. Agli angoli vi sono quattro torri e due minareti alti 40 metri. Questa moschea iniziata nel 1644 e completata nel 1658, si presenta con strisce verticali di arenaria rossa e marmo bianco e può ospitare fino a ventimila persone. L’edificio si può considerare uno degli ultimi monumenti costruiti sotto Shah Jahan. In passato, era un simbolo della sovranità Moghul in India, con un significato anche politico ben preciso. Inoltre, lo spazio aveva un importante ruolo sociale che mitigava il divario tra le classi. Ancora oggi i musulmani della città vi si riuniscono per la preghiera del venerdì, così come per le festività. La moschea, inoltre, è una importante attrazione turistica e trae una notevole quantità di entrate attraverso le visite degli stranieri. La funzione della moschea come spazio politico autonomo, non si è mai interrotta in epoca moderna.
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